Un’opera d’arte risiede dentro lo stomaco dell’artista per tre giorni. Egli sperimenta l’esperienza esaltante del miracolo, di cui le origini sono a noi sconosciute, ma lui sa che questo sta succedendo dentro di lui. Un’ispirazione prende forma e nasce un’opera d’arte, sgorga fuori in modo spontaneo e irrefrenabile. Per raggiungere risultati considerevoli occorre vivere nel mondo dell’arte per lungo tempo, essere rapiti, sporcarsi con il colore, dipingere per il piacere fine a se stesso, senza alcun torna conto, occorre infervorarsi. L’artista da tutto sé stesso per sperimentare la creazione dell’opera. Si esalta. L’artista ci insegna che la vita è breve e per darle un senso bisogna essere dedicati a qualcosa di elevato, occorre viverla appieno. L’artista nel momento del dipingere conosce sé stesso ed un nuovo mondo. Questo era Leo Taffarelli. Un vero artista, infervorato appassionato, sporco di colore.

Uno dei temi ricorrenti nella pittura di Taffarelli è quello dei PESCI. Essi non sono rappresentati come una semplice espressione grafica, bensì rappresentano il simbolo dell’umanità, che soffre e si dispera per come prendono corso i fatti della vita. I pesci soffrono a causa del devastante inquinamento delle acque, causato dall’uomo stesso che ha distrutto il suo ambiente naturale. Leo fu particolarmente sensibile ai problemi sociali, causati dall’intolleranza del comportamento umano e condannò sempre le barbarie che l’uomo ha commesso verso la natura, gli animali, la bellezza, la pace, la famiglia. Nelle sue opere si incontrano questi sentimenti. Pensando ai pesci di Taffarelli viene spontaneo pensare alla Bibbia e al racconto di Giona  nel ventre del grande pesce che lo aveva inghiottito, dove vi rimane per tre giorni. Poi rinasce con un miracolo a nuova vita.

 
 
 

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